dal libro "Nuvole" di Pietro Boninsegna
A Cavarzere il vento era di casa. D’inverno era la bora che la
faceva da padrona ed esauriva la sua violenza dalle mie parti
arrivando dal mare con folate di aria fredda e pulita. In primavera
le brezze si originavano dalle fresche acque dell’Adige, mentre
in estate le raffiche accompagnavano i numerosi temporali.
A Castiglioni mi ritrovai in un altro paese del vento!
La sua posizione elevata, sopra le colline che separano
la piccola Val di Chio dalla Valdichiana, era ideale per il vento
che investiva il paese da ogni parte, ora con i freddi soffi della
tramontana, ora con le fresche arie primaverili o con quelle più
calde estive. Quando soffiava infilandosi nella salita che portava
al Cassero o nei ripidi vicoli verso il Santa Chiara, era addirittura
violento e pericoloso. Bisognava attaccarsi al corrimano per non
prendere la ire, come dicevano i castiglionesi.
Ero l’unico del collegio e forse anche di tutto il liceo ad
amare il vento. Mi piaceva anche quello freddo e molto forte che
a volte mi costringeva a camminare curvo per non cadere mentre
sorridevo affrontandolo come in una sfida di forza.
Quando soffiava improvviso e violento all’imbocco di
qualche stradina, mi veniva in mente una di quelle storielle
a sfondo educativo che raccontò la mia buona maestra di prima
elementare: la gara tra il sole ed il vento. Il sole era bello, tondo e
sorridente, il vento accigliato e con delle gote enormi. Entrambi
osservavano dall’alto, comodamente sdraiati su di una bianca e
soffice nuvola, un viaggiatore che tranquillamente percorreva
una lunga strada polverosa. Scommisero tra loro su chi per primo
fosse riuscito a levargli il mantello.
Riempiendo il petto e soffiando violentemente il vento
iniziò la sua prova creando vortici e vuoti improvvisi. Folate
rabbiose e da posizioni sempre diverse si abbatterono sul
malcapitato. Più si facevano intensi gli sforzi, più il viaggiatore
si stringeva addosso il mantello, rannicchiandosi per offrire
meno superficie. Il vento alla fine dovette desistere. Toccava al
sole, che bombardò di raggi infuocati la terra costringendo il
viandante, smarrito dall’improvviso mutare del tempo, a togliersi
non solo il mantello, ma anche giacca e camicia.
Io parteggiai, diversamente dai i miei compagni di classe,
per il perdente vento, forse perché mi piacque di più il personaggio
che lo rappresentava nella bella illustrazione colorata del libro
di lettura o perché era stata troppo facile e scontata la vittoria
del sole. Quella scelta contro corrente fu la prima di molte altre
dell’adolescenza ed anche della mia vita successiva. Anche a
mia madre però doveva piacere il vento perché la sentivo
spesso cantare una vecchia canzone. La intonava quando si accorgeva
che fuori improvvisamente si piegavano le cime degli alberi o
cominciavano appena a muoversi le fronde.
Vento, vento, portami via con te
Ricordo che quando cantava era allegra e sorridente come
se stesse raggiungendo per davvero un suo mondo tra le stelle.
Quelle parole la esaltavano addirittura e chissà quali ricordi le
facevano rivivere.
Al vento, quando non avevo nessuno vicino che sentisse,
parlavo come ad un amico del cuore. Cercavo di ammansirlo
e calmarlo solo se veniva assieme alla pioggia. Quando si
alzava nei mesi estivi, sotto forma di caldi soffi, mi prendeva
l’irresistibile voglia di spogliarmi per sentirlo su tutto il corpo.
Alzavo le braccia perché passasse sotto le ascelle e tiravo
verso l’alto la camicia perché scivolasse sul petto. Mi piaceva
il profumo dei campi e dei fiori che mi portava. A maggio
arrivava con quello leggero e dolcissimo delle ginestre, a giugno
con quello intenso dei tigli. Ma era gradevole anche quando era
pregno dell’odore dell’erba secca, del grano maturo o di quello
asprigno della vendemmia.
autore Pietro Boninsegna
Edicola FERRARI ADRIANO
Edicola SATTIN FERRUCCIO
raggiungeremo insieme il firmamento
ove le stelle brilleranno a cento…
I compagni di scuola e del collegio per la mia passione
per il vento mi davano del matto. Mi difesi affermando, forte
degli insegnamenti della storiella che dal vento ci si poteva
proteggere, ma non dal sole cocente. Ma ai miei amici questi
discorsi non interessavano, a loro il vento dava solo fastidio.
Smisi presto di fare discussioni e non parlai più con nessuno di
quello che provavo. Continuai però ad amare il vento che faceva
volare gli aquiloni, sosteneva gli aeroplanini di carta e muoveva
trasformandole le amate nuvole dove mi rifugiavo nei miei sogni
più segreti.
Solo di notte, durante qualche bufera, riusciva ad incutermi
un certo timore: succedeva quando veniva da nord e faceva
fischiare l’asta porta bandiera in cima alla torre del Cassero.
Era un rumore acuto e fastidioso, che non mi faceva prendere
sonno. Appena nella camerata si faceva silenzio profondo, mi
infilavo sempre di più sotto le coperte per non sentirlo e se non
bastava ficcavo la testa sotto il cuscino schiacciandomelo sulle
orecchie. In quei momenti non riuscivo ad influenzare come di
solito i sogni che volevo fare, non prendevo sonno e mi agitavo.
Immancabilmente sembravano darsi appuntamento nel cervello
tante cose spiacevoli che mi facevano vegliare per ore.
Una notte decisi di alzarmi:
Possibile che l’amico vento di notte passando per la
fessura dell’asta diventi di colpo nemico?
Il freddo della camerata era accentuato dagli spifferi
delle finestre che davano sul cortile del Cassero. Dalla tenda
bianca, che isolava il letto dell’istitutore al centro della camerata,
proveniva una debole luce. Anche il giovane seminarista che in
quel periodo controllava il mio gruppo non riusciva a prendere
sonno e stava leggendo. Mi sentì e, spostata con una mano la
tenda, fece cenno di tornare a letto. Me la cavai a motti facendogli
capire che dovevo andare al gabinetto per qualcosa di urgente.
Nel vecchio collegio sul lato nord, quello verso Mammi,
sporgeva a sbalzo dal piano delle nostre stanze di studio un
servizio igienico che conteneva solamente una turca ed un
minuscolo lavandino. Quando ero là dentro nessuno disturbava
perché il gabinetto era scomodo e quindi poco frequentato. Io
invece lo prediligevo. Era tanto piccolo che si faceva fatica ad
entrarci, ma era ben isolato, lontano dalle stanze frequentate:
nessuno sentiva quello che facevi. Inoltre, le fessure alle finestre
facevano sì che non ci fossero mai cattivi odori. Vi entrai, chiusi
il chiavistello e spensi la luce.
Quel locale aveva una finestra che era un ottimo punto
di osservazione, l’unica che non aveva i vetri opacizzati da una
mano di vernice bianca. Si poteva così vedere all’esterno la torre,
la vela con la grande campana e l’asta della bandiera. I cipressi
vicini alla casetta dei telefoni e l’unico mandorlo in fondo al
cortile erano piegati dalle folate rabbiose del vento. Il cielo era
stranamente illuminato da un debole chiarore e si distinguevano
le nuvole grigie che si muovevano verso il collegio andando
veloci nella direzione di Montecchio. Anche il profilo della
collina sopra Mammi era ben visibile sullo sfondo più chiaro
del cielo. Con il naso schiacciato sul vetro, che così smetteva di
vibrare e di far rumore, guardando le cose familiari e la solidità
della torre le angosce passarono nonostante il buio, e mi venne
improvvisamente sonno.
Continuai a frequentare quel bugigattolo nelle notti di
vento finché rimasi lassù al Cassero e a poco a poco la paura
scomparve.
Mi vedo ancora ad osservare nella Val di Chio i suoi
effetti sulla campagna. Accarezzava i campi di grano e quelli
ocra delle erbe ormai secche, dipingendo, come usasse un
pennello invisibile, figure fantastiche e sinuose. Faceva variare
di continuo il colore degli uliveti, quello dei rari lecceti e piegava
i lunghi filari di cipressi. Faceva volare come impazziti di gioia
ogni sorta di uccelli. Ogni tanto alcune folate più forti alzavano
piccole nuvole di polvere che si trasformavano in bellissimi
mulinelli e poi si dissolvevano senza lasciare traccia.
Mi sembra di sentirlo ancora percorrere la camerata del
collegio durante la notte portando con sé dolci lusinghe, quasi
richiami sommessi di sirena, risvegliando i miei sensi a tal punto
che non riuscivo più a prendere sonno.
vai al sito internet dell'autore per leggere la prefazione del libro
www.boninsegnapietro.it
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