Io sono cresciuta in una famiglia di genitori separati. Avevo quattro anni quando papā č andato via di casa. Ricordo quel giorno come
se fosse ieri. Ogni volta che ci penso, mi si proietta davanti quella scena, come all'improvviso, nella sala del cinema, viene
proiettato il film nel grande schermo. Nella scena che si sviluppa e prende forma davanti a me, ci sono io, bambina di quattro anni,
seduta sulle scale dinanzi casa, con un peluche tra le braccia e le lacrime agli occhi. Poi ci sono papā, una valigia e una macchina.
Papā mette la valigia in macchina e si siede sopra quest'ultima. Mi guarda. Lo guardo. Mi dice poche parole di conforto, ma le parole
non servono a far cessare le mie lacrime. Poi mi abbraccia. Se ne va. Io lo guardo andarsene in macchina, mentre mi asciugo le lacrime
con il peluche. Poi la scena si dissolve, scompare tutto, come se un soffio di vento portasse via con sé questo ricordo e mi lasciasse
soltanto le emozioni e le sensazioni provate quel giorno. Non ricordo poi cosa feci quel giorno, come dormii la notte e nemmeno se andai
a giocare sull'altalena o se continuai a starmene lė a stringere un peluche, come se fosse un amico, un sostegno, qualcuno che non mi
avrebbe mai abbandonata. So solo che dormii con quel peluche fino a quando avevo undici anni. So solo che per molto tempo quel peluche
č stato il mio unico amico. So solo che per me quel peluche rappresentava una certezza, una sicurezza, un'ancora, una spalla su cui
piangere ed ero certa che non mi avrebbe mai lasciata. Poi sono maturata. Ho buttato via il peluche e ho cominciato a guardarmi attorno.
Vedevo che i miei compagni di classe avevano mamma e papā che stavano insieme e si amavano, avevano una sola casa nella quale abitavano
tutti quanti insieme, avevano una famiglia. Mi sono sempre chiesta come sarebbe avere una famiglia. I miei genitori hanno fatto tanto
per me e fanno molto tuttora, nonostante siano separati, ma sono i piccoli gesti che caratterizzano una coppia che mi mancano. Non ho
mai visto mamma abbracciare papā, o papā dare un bacio a mamma. Definivo i miei compagni di classe fortunati, perché loro avevano questa
possibilitā. Essi avevano la possibilitā di svegliarsi tutti i giorni nello stesso letto della stessa camera, mentre io venivo
sballottata da una casa all'altra. Essi avevano la possibilitā di vedere i loro genitori scambiarsi un bacio il giorno del loro
anniversario di matrimonio, mentre io sentivo i miei genitori contemplare quel giorno come un grosso sbaglio. Essi avevano la
possibilitā di cenare tutte le sere con mamma e papā, mentre io durante la settimana cenavo solo con mamma e il weekend cenavo solo
con papā. Invidiavo i miei compagni di classe e quando li sentivo disprezzare la loro famiglia o lamentarsi dei loro genitori, arrivavo
addirittura ad odiarli, perché pensavo che avevano il bene pių grande e prezioso del mondo, ovvero la famiglia, e avevano il coraggio
di lamentarsi. Un giorno, nel libro di arte che usavo alle scuole medie, vidi l'immagine di un sarcofago degli sposi risalente al VI
secolo a.C. e rimasi molto colpita. L'immagine ritraeva un uomo e una donna semidistesi fra i cuscini di un triclinio che si scambiavano
reciprocamente gesti affettivi e amorosi. L'uomo abbracciava teneramente la donna cingendole le spalle con il braccio destro, e la donna
contraccambiava sorridendogli dolcemente. Mi stupė l'amore che si riusciva a cogliere nel volto, seppur di marmo, di quei due coniugi.
Ma mi stupė pių di tutto il fatto che anche all'epoca c'era la concezione di famiglia come nucleo fondamentale della societā e come,
prima di tutto, amore tra due individui. Copiai quell'immagine in un foglio. Appesi il disegno in camera mia. Oggi quel disegno č ancora
lā. Quel disegno non č soltanto un semplice disegno fatto da una ragazzina di tredici anni colpita da un'immagine che ha visto.
Quel disegno rappresenta un modello di vita. Rappresenta il desiderio di una ragazzina di riuscire un giorno a formare quella prima
forma di comunitā che sta alla base della nostra societā. Rappresenta l'intenzione di una ragazzina di rimediare a un errore fatto dai
suoi genitori. Rappresenta ciō per cui ognuno di noi dovrebbe lottare: la famiglia.
Jada Rubini