1305 La scoperta di Google - di Alberto Pavanato
Tra coloro che
entusiasti iniziarono ad studiare e diffondere le idee copernicane ricordiamo
Tommaso Campanella, incarcerato e torturato per 27 anni; Giordano Bruno, arso
vivo in campo de' Fiori; Galileo Galilei, condannato per ben due volte
perché, secondo lui, la terra ruotava addirittura su se stessa. Seguendo le vicende processuali di Raimondo Lullo, ho avuto modo
di conoscere le opinioni dell'inquisitore
Roberto Bellarmino sul lullismo. Questi allo stesso tempo era presente
anche alle udienze del Santo Uffizio durante i processi di Bruno e di Galilei.
Mi sono chiesto se la sua presenza avesse magari svelato una relazione tra i
processi. Pur consapevole della difficoltà di stabilire una qualsivoglia
relazione diretta, esplicita od implicita, tra i processi di Lullo e di
Galilei, sono tentato di presentare un’ipotesi di lettura che avvicini le
vicende processuali di Lullo a
quelle di Bruno. Il pretesto riguarda il fatto che Bruno era sia un copernicano
che un lullista. ‘Pretesto’, evidentemente, perché com'è noto Bellarmino non ebbe particolari simpatie per il
lullismo.[1] Raimondo Lullo
(1232 – 1316) è un nome che fa
brillare gli occhi agli “iniziati”. Rimosso, più che
dimenticato, dai manuali di storia della filosofia. Catalano di Maiorca,
missionario francescano per le terre d'Oriente, dedicò la sua
esistenza alla conversione degli infedeli, alla ricerca della verità e
alla contemplazione del divino. Gli accademici parigini lo
chiamavano Doctor illuminatus, altri
arabicus christianus per il
suo stile di scrittura alquanto stravagante, ma per gli amici era
semplicemente phantasticus. Scrisse quasi
trecento opere in latino, catalano e arabo. La principale di tutte, l' Ars
magna, viene definita
da Lullo stesso il libro meliore de mundo, ovvero il riuscito tentativo di
prefigurare una vera e propria
macchina per pensare, quasi un primo geniale personal computer.
L'Ars si articola attraverso ruote coassiali contenenti, di fatto,
cinquantaquattro termini.[2] La combinazione di questi permetteva di
poter scrivere tutti i libri, fare tutte le domande e dare tutte le risposte.
Come nel linguaggio binario dei computer ogni parola è tradotta in
stringhe di zero ed uno, così era possibile tradurre qualsiasi
domanda nel linguaggio dei 54 termini. Tramite la combinazione e l'applicazione
di regole (algoritmi) si producevano stringhe di risposte: alcune vere, altre
no. L'abilità dell'artista consisteva nel saper discernere le risposte
vere e più importanti da quelle false e meno importanti; allo stesso
modo di come vengono scelte le risposte di Google. Allo stesso tempo si
potevano fare tutte le domande, come il software Stumble Upon. In
pratica, Lullo aveva prefigurato il concetto dell'odierna Rete. Non a caso al
concetto di Internet si arriva attraverso un percorso oggi abbastanza
riconosciuto da tutti: dopo Lullo, troviamo Cartesio, Pascal, Leibniz, Babbage
e Turing.[3] Lullo affrontò in pieno medioevo
l'anima sintetica della scienza: deve essere produttiva, non accademica,
unicamente mossa dall'energia della fede. Ragionamento fondamentale per chi,
secoli più tardi, si cimenterà con il nuovo metodo della combinazione
dei termini, come Giordano Bruno.[4] Grande
ammiratore e lettore di Lullo fu il re spagnolo Filippo II. Durante il suo
regno la potenza spagnola conobbe il suo acme. Incaricato dal Papa di fondare
la Lega Santa, fu vincitore nella famosa battaglia di Lepanto. Fece costruire
l'Invincibile Armata e l'Escorial, ma soprattutto durante il suo regno le
dottrine di Lullo furono elevate a filosofia nazionale. Nel 1595 il Papa
cede alle insistenze reali e avvia la canonizzazione delle opere lulliane
presso la Congregazione dell'Indice. Si trattava di provare o meno
l'autenticità di una bolla 'fantasma', promulgata due secoli prima da
Gregorio XI, in cui si dichiaravano sospette di eresia le dottrine di Lullo. Il
documento originale non era mai stato trovato, sebbene spesso fosse stato fin
troppo millantato dal partito antilullista. Grazie all'aiuto reale, la Chiesa
catalana confidava in una immediata canonizzazione. Ma qualcosa di molto
importante sta per accadere. Giordano Bruno viene condotto in catene a Roma. Il
18 settembre 1596 il Santo Uffizio stabilisce che una commissione di teologi
esamini le sue opere per scoprire se ci fossero eventuali proposizioni
eretiche. Il 24 marzo 1597 i membri del Sant'Uffizio chiedono l’abiura a
Giordano Bruno. Sottoscrivono il verbale i cardinali Santorio, de Deza Manuel,
Pinelli, Bernerio, Sfondrati,
Borghese, Arrigoni e Bellarmino, da poco nominato consultore.
Quest'ultimo è stato definito uno dei più spietati
giudici di Bruno. Alcuni lo hanno chiamato addirittura un oscurantista
per partito preso. Tuttavia è il patrono dei catechisti, santificato il 29 giugno 1930 e nominato
Dottore della Chiesa il 17 settembre 1931. Lo scopo dichiarato di
Bellarmino era diretto ad identificare tutti gli errori dottrinali nei testi
del Bruno per farlo cadere in contraddizione, spingendolo così
all'abiura.[5]
Tuttavia, dopo ben diciassette interrogatori e cinque ore di torture, Bruno
non aveva ancora abiurato. Sette mesi più tardi, ed esattamente il 24
ottobre 1597, Filippo II decide di rinnovare tutte le concessioni in favore dei
lullisti fatte dai suoi predecessori.[6] Questa decisione aveva molto
probabilmente lo scopo di dimostrare l’estraneità della dottrina
lulliana dalle eresie del Bruno, infatti oltre ad essere un copernicano,
Giordano era anche un lullista. Sei mesi più tardi, il 13 settembre 1598, Filippo muore all'Escorial. Lo stesso anno appare la Raymundi Lulli Opera ea quae ad adinventam ab ipso artem universalem di Zetzner. Si
tratta della collezione dei
principali testi lulliani ed ebbe una diffusione tale da essere
ristampata ben quattro volte in soli 50 anni. Ne fu trovata una copia persino
nella biblioteca privata di Newton. Nell’Opera sono contenuti ben quattro commentari di Bruno. Da questo
momento gli eventi per Giordano precipitano. Dopo un'incarcerazione durata 7
anni, il 24 Agosto 1599 Bellarmino riferisce al Sant'Uffizio che Bruno avrebbe
ritrattato almeno sette delle otto eresie. Ma interpellato il 21 dicembre, si
rifiuta di ritrattare addirittura tutte le accuse. Il 17 febbraio
1600 viene arso vivo. La sua condanna dovette avere una certa influenza nei
confronti della canonizzazione di Lullo, perché la Congregazione
dell’Indice avanza pretesti per non canonizzare le dottrine. In una lunga
lettera inviata il 29 agosto 1600, Arias de Loyala[7]
spiega con quanto scrupolo i
giurati di Maiorca dovessero da questo momento presentare a Roma i documenti
necessari per la canonizzazione. Lo stesso anno viene inviato a Roma un nuovo
procuratore alla difesa, Sànchez de Lizarazo, che quattro anni
più tardi sarà costretto a dimettersi dall'incarico perché
nominato canonico di Terragona. I lavori vengono così interrotti. Dal
1604 fino al 5 dicembre 1611 non verranno addirittura nominati nuovi difensori.
Abbastanza curiosamente, in questo lasso di tempo erano presenti la maggior
parte dei cardinali che condannarono Bruno. Camillo Borghese fu nominato papa
il 16 maggio 1605 con il nome di Paolo V. Pinelli e Bernerio morivano nel 1611
e Sfondrati, presente a Roma per il processo di Galilei nel 1615, morì
nel 1618. Bellarmino invece fu promosso cardinale nel 1599. I giurati di
Maiorca insistono per far ripartire il processo. Nel 1607 vengono
inviate dalla Spagna venti opere di Lullo per essere controllate dalla
Congregazione. Si trattava delle stesse opere nominate come le più
sospette nella presunta bolla di Gregorio XI. Assieme a queste era presente
anche il Memoriale collationis seu comprobationis centum articulorum
lullianorum per F. Nicolaum Eymeric scritto da Antonio Busquets, nominato
difensore della causa. La sentenza arriva il 14 settembre 1612. In primo luogo
la dottrina contenuta nel memoriale è definita impropria, pericolosa,
temeraria, offensiva, in odore di eresia, erronea e formalmente eretica. Paolo V fu informato della
decisione ma non vi furono ulteriori conseguenze. Sei mesi prima, il 20 marzo,
nel palazzo del Santo Uffizio, Tommaso Caccini aveva sporto denuncia contro
Galileo Galilei ai seguenti cardinali: Bellarmino, Galamini, Millini,
Sfondrati, Taverna, Veralli e Zapata. Il 24 febbraio 1616, il Sant'Uffizio si
riunisce nuovamente per il caso Galilei. Il giorno seguente Paolo V ordina a
Bellarmino di ammonire Galilei. Questi non si dimostrò tanto
inflessibile quanto il Bruno, così il 3 marzo Bellarmino rende noto a
Paolo V che Galilei si era pentito delle sue affermazioni sul moto terrestre. Bellarmino ha un atteggiamento del tutto
diverso rispetto a quello riservato a Bruno. Galilei non viene torchiato,
intimidito, torturato. Bellarmino è sempre cortese nei suoi confronti.
Verrebbe da chiedersi se questo atteggiamento non fosse dovuto
all'estraneità di Galilei dalla dottrina lulliana. Intanto la causa di
Lullo continuava tra mille difficoltà. Il 29 agosto 1619 Bellarmino
rende noto al Papa la decisione degli inquisitori. È nuovamente
condanna. Paolo V tuttavia non vuole che il processo si concluda in modo
definitivo. Invia l'elenco degli errori a Filippo III ed all'inquisitore
generale di Spagna, dichiarando proibiti i libri di Lullo finché non
fossero stati corretti. Il papa sembra non volersi porre in aperto contrasto
con le autorità spagnole. Vuole prendere tempo. Tant'è vero che
quando i giurati di Maiorca chiedono informazioni sugli errori, il papa
risponde ut tandem quiescat, di lasciare stare insomma. Prima della sentenza di
condanna, viene chiesto il parere di Bellarmino, il quale esprime la propria
opinione personale su Lullo: « Questo è il
mio parere: innanzitutto ritengo che la dottrina di Raimondo Lullo sia inutile
e pericolosa come insegna l'esperienza, poiché pochi la riescono a
capire (pauci illam sequuntur). In secondo luogo si
può tranquillamente contraddirla finché non venga corretta, e
tale correzione approvata da questo Sant'Uffizio. Aggiungo questa convinzione
affinché la mia sentenza di condanna non faccia troppo torto ma credo
che questa dottrina non verrà mai corretta.»[8] L'espressione pauci illam sequuntur può avere due significati: il primo riguarda il fatto che pochi
riescano a capire la dottrina di Lullo, mentre la seconda è che pochi
siano i seguaci di Lullo. Abbiamo
interpretato il passo nel primo modo in quanto riteniamo che il papa e
Bellarmino avessero ben presente che il lullismo era divenuto una filosofia
nazionale presso la corte reale e il culto di Lullo come santo era ben radicato
in tutta la penisola iberica. La
stessa linea difensiva catalana si basava sul fatto che pochi potessero
comprendere veramente la dottrina di Lullo, seppur moltissimi fossero i suoi
seguaci. Il papa vuole molto probabilmente che si condanni il lullismo, non
Lullo. Lo stesso lullismo che Bruno aveva fatto rivivere, a modo suo, e forse
aumentando la dose di confusione attorno alla combinatoria lulliana. Tuttavia
né La Congregazione né il Sant'Uffizio hanno gli strumenti adatti
per fare questa distinzione. Condannano tutto e tutti, cercando di porre un
freno alle dilaganti novità scientifiche che mettono in crisi le
millenarie verità rivelate. A mio parere la condanna a Lullo non si
dimostrerà altro che una diga di sabbia inghiottita dall'alta marea.
Infatti il culto di Lullo come santo rimase immutato, se non accresciuto, in
tutta la penisola spagnola. Le sue dottrine filosofiche, oltre che scientifiche,
si diffusero a macchia d'olio per tutta l'Europa anche grazie alla grande
pubblicità derivata dal processo di canonizzazione. Rimarrebbe dunque da
chiedersi a chi avrebbe alluso Bellarmino con l'espressione pauci. La
mia proposta riguarda l'ipotesi che forse ci si stia riferendo a quei novatores
che si muovevano nei solchi del platonismo antiscolastico e del copernicanesimo.
Tra questi potremmo annoverare i lettori dell'Opera di Zetzner, Giordano
Bruno, Alsted e successivamente anche Cartesio. Se questa mia ipotesi fosse
corretta, i processi di Bruno, Lullo e Galilei avrebbero dovuto lasciare
un'impronta indelebile nel pensiero degli studiosi della seconda metà
del XVII secolo. La paura del carcere e delle torture doveva essere palpabile.
Soprattutto per uno dei padri del metodo scientifico moderno, come Cartesio.
Come ha sinteticamente osservato uno studioso, questi aveva deciso di vivere
nell’assoluto rispetto delle regole provvisorie, in attesa di quelle
definitive, che avrebbero magari potuto tardare un po’ troppo.[9] Nel 1626
Campanella viene scarcerato dopo 27 anni di carcere e torture. Nel 1633 la
seconda condanna di Galilei. A Cartesio verrà prestata , per sole
trenta ore, l’opera galileiana condannata. Dirà delle cose
vergognose, sull’opera stessa. Che il libro non contiene nulla di
interessante. Sente l'urgenza di dare alla stampa la Discourse de la
Methode. In quest'opera il nome di “Dio” è citato 482
volte, mentre “io” 360. Non c'è spazio per altri nomi tranne
quello di Aristotele, che gli consente di insinuare che gli aristotelici del
suo tempo sono piuttosto ignoranti, e di Lullo, “la cui arte serve a
parlare senza giudizio di ciò che in realtà si ignora,
anziché ad apprendere verità non conosciute o trasmettere
verità note”. A ben guardare nella Methode è
presente anche Galilei. Non deve
stupire che non ci sia Bruno, se si pensa che il mite Marsenne, che tanto ha
seguito le vicende cartesiane, anche quelle dei pensieri più difficili
(se bruciare le carte che richiamavano Copernico, ancorché hypothetice),
riteneva meritato il rogo per Bruno, ‘il peggiore degli uomini’.
Si può ben immaginare come questo nome fosse pericoloso per il non
focoso Cartesio. La volontà di volersi differenziare pubblicamente dai
vari Lullo, Campanella, Bruno, Galilei, come del resto volle differenziarsi dai
Rosacroce, aveva molto probabilmente relazione anche con il fatto che le dottrine
lulliane erano state condannate dall’ossequiata autorità
pontificia. Tuttavia il nome di Lullo rimaneva per Cartesio
l’unico degno di comparire tra Dio e l’Io.
Nel secondo capitolo della mia tesi di laurea ho affrontato la
ricostruzione del processo di canonizzazione di Raimondo Lullo a cavallo tra il
XVI ed il XVII secolo. Un momento storico particolarmente importante per la
Storia della Scienza. La pubblicazione del De Revolutionibus di
Niccolò Copernico, nel 1543, cambiò letteralmente la visione
europea dell'universo. La terra non era più il centro immobile dell'universo, ma compiva
un'orbita circolare attorno al sole, diventato l'unico e vero centro del movimento
di tutti i pianeti. Questo fatto metteva in
discussione molte teorie fisiche e cosmologiche
consolidate
da secoli, se non addirittura contraddiceva apertamente alcuni dogmi della
Chiesa. Con Copernico si assiste alla nascita di una concezione della natura
come ordine oggettivo e governato da leggi matematiche. Nasce la concezione
della scienza come sapere sperimentale-matematico. Nasce la Rivoluzione
Scientifica.
[1]
Como es sabido, Belarmino se
distinguió por su desafección a Lull. Cfr. T. Carreras y
Artau, J. Carreras y Artau, Historia de la
filosofía española: filosofía cristiana de los siglos XIII
al XV, II, Real Academia de ciencias exactas, físicas y naturales, Madrid (1943), p. 229. Recentemente
ristampato nel 2001.
[2] La versione computerizzata delle ruote lulliane è oggi reperibile da http://lullianarts.net.
[3] A.
Tessari, Lόgos, téchne,pόlemos nel catalano Ramon Llull,
in AA.VV., “Le potenze del filosofare”, a cura di L. Sanò,
Il Poligrafo, Padova (2007), pp. 53-71; in questo lavoro si indicano le linee
che portano Lullo, attraverso la rilettura leibniziana, a Babbage e Turing,
padri della macchina analitica da cui nasce il brevetto IBM del moderno
computer.
[4] Cito queste conclusioni da una intervista ad Alessandro Tessari. Cfr. Il Manifesto, 18 Ottobre 2009, p. 15.
[5] Cfr. L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, D. Quaglioni, Roma (1993), pp. 99-101.
[6]
Il documento è riportato in Pedro Jerónimo Sánchez
de Lizarazo, Generalis et admirabilis methodus, Carolus a Lavayen,
Tarragona 1613, foglio 18 v. Ristampato a Tarragona nel 1619.
[7]
Arias de Loyala era docente di geometria presso l'Università di
Valencia. Nel 1596 fu nominato segretario reale per asuntos lulianos.
[8]
Ego
sentio. Primo, doctrinam Lulli saltem esse inutilem, et periculosam, ut
experientia docet, quia pauci illam sequuntur. Secundo., posse et libere
prohiberi donec corrigatur, et correctio approbetur ab hoc Sancto Officio. Hanc
conditionem addo, ut minus displiceat haec sententia damnationis, sed credo
numquam corrigendam hanc doctrinam. Cfr.
Anonimo, De la condamnation
de Raymond Lulle, in “Analecta juris pontificii. Dissertations sur divers
sujets de droit canonique, liturgie et de théologie”, 17, Roma
(novembre 1856), col. 2466-2480. cit., col 2476.
[9] Cfr. A. Tessari, Considerazioni sull'Ars di Ramon Llull e la
Mathesis Universalis di René Descartes, Ianus, Padova (2004), p. 210.
Inoltre le citazioni da qui in poi sono tratte dallo stesso passo.
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